Molti autori hanno provato a definire i caratteri del gioco e del giocare. Lo psicologo Jerome Bruner indica nel gioco “il prevalere dei mezzi sui fini”: si tratterebbe cioè di un'attività improduttiva che non crea beni né ricchezze; il pedagogista Edouard Claparède lo definisce come “il regno del come se”, uno spazio nel quale il giocatore si trova al tempo stesso nella realtà e nella fantasia, in un luogo dove si è instaurata una legislazione nuova; lo psicologo Lev Vygotskij riconosce al gioco non tanto un valore di “piacere”, quanto quello di strumento per una “realizzazione immaginaria e illusoria di desideri irrealizzati”. Il sociologo Roger Caillois dice che il gioco è “una attività incerta il cui svolgimento non può essere determinato o il suo risultato acquisito”. Johan Huizinga ha mostrato come in certi casi il gioco si trasformi in lavoro. Tutti questi autori sottolineano che alla base del gioco esiste un elemento comune: la volontà dell'individuo. Chi è costretto a giocare non sta realmente giocando.
Secondo Fink il gioco è un fenomeno fondamentale dell’esserci primordiale come l’amore, la morte e il dominio, ma caratterizzato dall’assenza di scopi. Caillois amplia i temi di Huizinga che analizza un tipo di giochi adulti, di competizione regolata. Per Caillois sussistono altre categorie ludiche in cui l’esito è affidato al destino, oppure giochi riguardanti il travestimento o la ricerca della vertigine.Winnicott in “Gioco e Realtà” riscatta l’attività ludica da ruolo di passatempo infantile, analizzandola come forma fondamentale di vita. Il gioco e l’oggetto transizionale sono illusioni che permettono al sé di costruirsi nel reale, nel luogo del senso di identità ponte tra soggetto e realtà effettiva.
Bibliografia:
- Gianfranco Staccioli, Il
gioco e il giocare. Elementi di didattica ludica, Carocci editore, 2008